Il 2021 è un anno maledetto per il mondo del motociclismo. Numerosi i piloti che hanno perso la vita in pista quest’anno, ovvero Jason Dupasquier in Moto3, Hugo Millan nell’European Talent Cup e lo scorso sabato Dean Berta Viñales nel WorldSSP300. Tre incidenti mortali avvenuti tutti per investimento, ma le federazioni devono rivedere delle regole e pensare più allo sport e meno allo spettacolo.
Dupasquier, Millan e Berta Vinales i tre piloti che hanno perso la vita quest’anno nel mondo del motociclismo
The Show Must Go On (che tradotto significa lo spettacolo deve continuare) è, oltre ad essere il titolo di una canzone dei Queen del 1991, un motto per dire che la vita deve andare avanti nonostante tutto. Il motociclismo, nel corso della sua lunga storia, ha affrontato, soprattutto ai suoi inizi, numerosi lutti anche più di uno in un fine settimana e ha sempre cercato di guardare avanti. Negli anni la sicurezza di caschi, abbigliamento e piste sono migliorate, ma una delle dinamiche alle quali non si può fare nulla è quella dell’investimento.
La spettacolo deve andare avanti, ma ad un certo punto si deve iniziare a riflettere. Nel 2021 tre piloti che complessivamente non arrivano a 50 anni, hanno perso la vita in questo modo. Jason Dupasquier, pilota del team Prustel nel mondiale Moto3, è deceduto all’età di 19 anni per le conseguenze riportate nell’incidente delle qualifiche del GP d’Italia al Mugello. Hanno perso la vita invece in gara gli altri due piloti, ovvero Hugo Millan, 14 anni, durante Gara1 dell’European Talent Cup ad Aragon e Dean Berta Vinales, 15 anni, nella Gara1 del WorldSSP300 nel round di Spagna a Jerez. Tre giovani piloti che avevano il sogno di correre e vincere in MotoGP o nel WorldSBK, ma che sono volati in cielo troppo prematuramente.
Le federazioni mondiali e nazionali cosa possono fare?
Numerosi sono i problemi delle categorie leggere, a partire dalle qualifiche. In Moto3 c’è il brutto vizio di non girare da soli in pista, ma mettersi dietro a qualche pilota per prendere il giusto traino e sfruttare la scia soprattutto nel rettilineo del traguardo. Una strategia che si potrebbe anche fare con gruppetti di due, massimo tre piloti, ma non quando quasi tutti i piloti della qualifica si trovano in scia uno dietro l’altro come se fosse una gara. Per risolvere il problema della qualifica si potrebbe riproporre il vecchio format della Superpole, ovvero un giro secco e tutti gli occhi puntati addosso sul pilota in azione. Per il pilota può essere molto stressante, per lo spettatore poco emozionante, ma per gli sponsor un buon modo per vedere inquadrato il proprio brand.
Arriviamo alle gare, dove si vedono enormi gruppi in lotta per la vittoria, senza esclusione di colpi e dove la scia gioca un ruolo fondamentale. Le battaglie sono la parte migliore del motociclismo e nelle classi minori non mancano mai, ma sono anche le più pericolose. Tutti i piloti sono consapevoli del rischio, il “compagno di squadra” che li segue in ogni momento e con cui devono confrontarsi ogni istante. Ed ecco qui cosa potrebbero fare le federazioni mondiali e nazionali, ovvero punire con più severità le penalità per “guida irresponsabile” e “track limits”, far gareggiare più costruttori possibili, ma al tempo stesso mettere un numero massimo di partecipanti per ogni categoria. Queste possono essere delle soluzioni, ma le federazioni devono trovarle al più presto. Tre vite spezzate in quattro mesi sono troppe e non bisogna più vedere foto dei piloti in bianco e nero, ma solo a colori.
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