Entrare in un mondo prettamente maschilista come quello del motorsport non è mai stata una passeggiata. A darci una testimonianza diretta è stata Monica Zanetti, soprannominata Lady F40. Ai microfoni di Formula Rosa, ha ripercorso la sua straordinaria esperienza all’interno della Ferrari, che l’ha segnata nella storia. Infatti, è stata la prima donna a partecipare alla catena di montaggio dell’iconica Ferrari F40.
Monica Zanetti e la sua storia in Ferrari
Com’è iniziata la sua avventura in Ferrari?
“Sono di Maranello quindi la magia della Scuderia Ferrari era ovunque. Mio zio ci lavorava ed era un continuo parlarne. Il mio sogno era quello di diventare un meccanico del Cavallino. Così a quindici anni mi iscrissi all’Ipsia che stesso Enzo Ferrari fece aprire. Cercavano una donna da mettere in officina e non ci pensai due volte ad accettare quel ruolo”.
Ci ha confessato che il suo desiderio più grande era di entrare nel reparto corse. Come mai non ci è riuscita?
“Ai miei tempi era impossibile vedere una donna ai box di Formula 1. La mentalità era totalmente diversa. Si stava in trasferta anche tre mesi e la donna “doveva” stare a casa, fare i mesterei e badare ai figli. Era stato già difficile far accettare la presenza di una ragazza nell’officina della fabbrica, figuriamoci ai box. Non mi hanno mai trattata male ma nei loro sguardi c’era tanto scetticismo. Ero minuta e molto giovane. Serviva una fisicità che io non avevo. La mia passione, però, mi ha sempre dato tanta forza di volontà. Volevo guadagnarmi la loro fiducia, dimostrare le mie qualità”.
Possiamo dire che lei abbia fatto la storia partecipando come prima donna alla catena di montaggio della Ferrari F40. Ha anche ricevuto un premio a Las Vegas per questo motivo: quali sono state le sue emozioni al riguardo?
“Ho risposto incredula alla chiamata. Volevano assegnare quel premio una donna pioniera. Ricorrevano i 35 anni dalla nascita della F40 ed hanno pensato a me. Nel progetto originale eravamo tre uomini ed una sola donna. Nessuna prima di me aveva avuto questo ruolo in Ferrari. Iniziammo subito con la produzione perché i piani alti avevano capito che quella sarebbe stata l’ultima stradale da corsa che il Commendatore Ferrari avrebbe visto prima di morire. La sua volontà era di realizzarne solo 150. Quando i numeri aumentarono fino a livelli commerciali mollai tutto. Era finita la magia dell’inizio. Quello non era più il sogno di Enzo Ferrari e degli ingegneri Forghieri e Materazzi”.
Monica Zanetti e l’incontro con Enzo Ferrari
Ci parli di Enzo Ferrari: era un tipo maschilista come in tanti lo dipingono?
“Ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona ed era tutto tranne che un maschilista. Era esigente perché voleva il massimo dai suoi dipendenti, il loro sesso non contava. Il suo autista e uomo di fiducia, Dino, mi accompagnò per la prima volta da lui. Avevo delle foto di Gilles Villeneuve, che era morto da poco, da mostrargli. Era seduto con i suoi occhiali scuri“.
“Mi chiese perché una ragazza come me era così ostinata a voler lavorare nelle sue officine. Dissi la verità: quando vedo le Ferrari divento matta. Sorrise e chiese di avere gli occhiali chiari. Col senno di poi ho capito l’effettivo valore di quel gesto. Dovevo rimanere con lui solo cinque minuti. Ne passarono 45 in un batter d’occhio. Prima di congedarmi mi disse delle parole che ricordo ancora come se fosse ieri. Prese poi una sua foto, ci lasciò una firma con tanto di dedica. Ho ancora la pelle d’oca”.
Da Lady F40 alla nascita di Scuderia Belle Époque
Nel 2017 ha dato vita alla Scuderia Belle Epoque con la sua amica e socia Gemma Provenzano: ci parli del progetto
“Il ruolo che avevo avuto in Ferrari mi ha portata ad avere tanta fiducia da parte di piloti, ingegneri, meccanici e collezionisti. Avevano iniziato a chiamare per affidarci le loro auto. Il lavoro che svolgevo non mi faceva sentire più a mio agio. Il modo di lavorare era cambiato troppo per i miei standard. Così con Gemma abbiamo deciso di fondare Scuderia Belle Époque. Abbiamo lavorato sulle auto di Berger e di Gilles. Anche se non c’era più, i suoi familiari avevano fiducia solo nei suoi meccanici”.
Crede che il ruolo della donna oggi si sia effettivamente evoluto?
“Non al 100%. Adesso sono dall’altra parte, quella della gestione. Un ambiente ostico per noi donne. Gli uomini ci temono ancora di più. Solo quando hanno capito chi fossi e la dedizione che ho per questo lavoro, hanno iniziato a trattarmi alla pari. Ho dovuto stringere bene i denti. Non mi è mai pesato farlo. Il mio amore per il motorsport è più forte di ogni altra cosa. Credo di essere stata la prima donna a fondare un’officina di Formula 1. Lo sottolineo per far capire quanto sia ancora inusuale. Tutto quello che ho fatto nella mia vita non è per fare guerra agli uomini o dimostrare qualcosa. Io vivo delle emozioni che il rombo di un motore mi fa provare“.
“La quota rosa si sta espandendo in tutti i ruoli adesso. Un pizzico d’invidia la provo perché stanno vivendo tutto quello per cui io ho lottato fino all’ultimo giorno. I tempi stanno cambiando e con loro anche le mentalità. Però, credo che la Formula 1, con progetti come la W-Series e la F1 Academy, non stia facendo altro che dare un contentino. Non credono veramente nel ruolo della donna. Quindi di strada da fare ce n’è ancora tanta”.
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Ascolta il podcast Formula Rosa con l’intervista integrale a Monica Zanetti sul nostro profilo Spotify. Con Mara Giangregorio, la Lady F40 ha raccontato la sua personale esperienza nelle officine di Ferrari, l’incontro con il Commendatore Enzo Ferrari e la nascita di Scuderia Belle Epoque.
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Mara Giangregorio