Le pagelle potrebbero essere la prova dell’esistenza del male nel mondo. Animano gli incubi di chi studia e le deve ricevere, ma anche di chi insegna e le deve assegnare. Segmentare la realtà, valutarla e ridurla a numeri ci sembra innaturale, riduttivo, sbagliato. Eppure è inevitabile; dunque, come descrivere un intero GP in dieci voti? Chi sa fa, dice l’antico adagio. Chi non sa, insegna. A chi non sa nemmeno insegnare, resta solo la possibilità di dare i numeri. Così faremo con le pagelle del GP d’Olanda 2023. In crescendo, dall’uno al dieci, come ai vecchi tempi del college.
1. Ferrari
Il voto più basso di giornata va alla Scuderia Ferrari, per almeno tre motivi. Il primo è la distanza siderale fra le dichiarazioni del team principal Frédéric Vasseur e le prestazioni in pista (Sainz quinto, Leclerc ritirato). Il secondo è l’errore madornale commesso al primo pit stop: quando Leclerc rientra ai box, le gomme da bagnato non sono ancora pronte. Si dirà: la concitazione del momento. Ma il momento era concitato per tutti, comprese le altre scuderie, che sono riuscite a tirarle fuori per tempo.
Il terzo è esorcizzare la “nuvoletta fantozziana” che quest’anno si è addensata intorno alla Rossa. A stroncare la gara di Leclerc sarebbe bastato questo, ma nel dubbio ci si è messo anche un contatto con Piastri che gli ha compromesso l’assetto aerodinamico, anche dopo la sostituzione del musetto danneggiato. Un assetto già di per sé imperfetto, viste le difficoltà che ha poi avuto Sainz a non farsi passare. E allora, sia pure partendo dal basso, la Ferrari la facciamo arrivare per prima. Non per tifo, ma perché la Ferrari è spettacolo nello spettacolo.
2. Chiunque abbia deciso di infilare un figurante in un costume da leone arancione
Il leone simboleggia forza, potenza, regalità. È al centro dello stemma dell’antica Contea d’Olanda e di quello della casa regnante d’Orange-Nassau. Compare sul casco di Verstappen, e se la Formula 1 è tornata a Zandvoort non è altro che per merito suo, e anche su quello di Lewis Hamilton. Ci sono mille ottime ragioni per usare un leone come simbolo. Un po’ meno per piazzare un ballerino vestito da leone sul cubo accanto al DJ.
Sia chiaro che non ce l’abbiamo con l’interprete: primo, sta facendo il suo lavoro e merita rispetto; secondo, ha accettato di infilarsi tutto il giorno in un costume di peluche prima di sapere che a Zandvoort avrebbe fatto decisamente freddo. Abnegazione? Paga straordinaria? Semplice incoscienza? Poco importa, lui è l’eroe di questa storia. Tutto il contrario di chi ha impiegato i suoi preziosi neuroni inventando Gigione il leone arancione.
3. Logan Sargeant
Il circo della Formula 1 è in Olanda, ma il cuore dell’americano della Williams è rimasto a Budapest, dove si stanno svolgendo i mondiali di atletica. Logan si prende per distacco la medaglia d’oro nel salto in basso. Sabato, per la prima volta in carriera, arriva nella terza manche delle qualifiche, partendo decimo. Al settimo giro è già doppiato. Pochi minuti dopo perde il controllo e va a sbattere, riuscendo a ritirarsi prima di Leclerc.
4. L’assetto delle McLaren
Il marchio di fabbrica della pista di Zandvoort sono i curvoni veloci e parabolici, dove si possono scegliere traiettorie diverse, ma serve parecchio carico aerodinamico per mantenerle. Ora, “parecchio” è un concetto difficile da quantificare. È facile che diventi troppo, e allora la macchina usa tantissima potenza per combattere la resistenza dell’aria, e perde velocità. Ma c’è chi è incaricato di quantificarlo. Per fortuna della McLaren, non si tratta di noi. Per sfortuna della McLaren, si tratta di qualcuno che ha perso di vista il confine fra “parecchio” e “troppo”. Spiegateglielo, a quel qualcuno. Se riuscite a vincere la resistenza dell’aria.
5. Sergio Perez
Aspirante epigono di Nikola Tesla, Sergio va a corrente alternata. Per un attimo si ricorda di essere stato l’uomo che sussurrava alle gomme: quando inizia a piovere è il primo a mettere le intermedie, e l’undercut lo proietta senza sforzi in testa al gruppo. Ma per vincere un Gran Premio un’intuizione non basta: il passo gara del messicano è lontanissimo da quello del suo compagno di squadra. A proposito, quanto è veloce questa Red Bull? Evidentemente, abbastanza da superare il limite di velocità in corsia box, procurandosi una penalizzazione che lo fa scendere giù dal podio.
6. Carlos Sainz e Lewis Hamilton
I rispettivi team ci hanno provato in tutti i modi, a farli andare piano, ma prima o poi in 72 giri l’abilità emerge. Entrambi passano il weekend all’insegna della lotta nel fango, prima contro le proprie macchine, poi contro gli avversari, ma in modo speculare. Hamilton, partito tredicesimo, è il re di curva 1, dove le dà di santa ragione a chiunque; Sainz invece le prende in rettilineo, complice l’aerodinamica misteriosa della Ferrari. Alla fine arrivano appaiati al traguardo e in pagella, e quel che importa è aver superato questa tormenta, in attesa della prossima, o magari chissà.
7. Pierre Gasly
La Formula 1 vorrebbe essere il regno del razionale. Tutto dovrebbe essere misurabile, verificabile, comparabile a colpo d’occhio. Ma le variabili anomale sono sempre più numerose dei tentativi di normalizzarle. Potremmo essere tentati di misurare in decibel il primo urlo di Gasly dopo il traguardo, quando lo informano che a conti fatti sì, ha superato Perez, è terzo, andrà sul podio. Ma significherebbe non aver capito niente.
8. Fernando Alonso
Secondo al traguardo e giro più veloce su una Aston Martin data per morta troppo in fretta, Alonso supera il record di Michael Schumacher per l’intervallo più lungo fra primo e ultimo podio in carriera: 7399 giorni, pari a vent’anni, cinque mesi e una manciata di giorni. La prima volta che è salito sul podio, Fernando correva contro Schumacher, Coulthard, Jacques Villeneuve, babbo Verstappen. Ma dopo la gara lo abbiamo guardato negli occhi, e quel numero lo abbiamo corretto a matita.
9. Max Verstappen
Nove come l’incompletezza, l’imperfezione, l’ennesimo Gran Premio vinto dalla pole position, ma senza tenere la testa per tutti i 72 giri, e soprattutto senza il punto addizionale per il giro veloce, strappato, come già ricordato, da Alonso. Abbiamo l’impressione che stavolta, sotto il casco, abbia perfino versato qualche goccia di sudore. Oppure, nove come le vittorie consecutive: anche qui un record eguagliato, quello di Sebastian Vettel, che anche in questo caso è stato aggiornato a matita.
10. Giove Pluvio
Per rendere divertente il Gran Premio d’Olanda ci voleva, e c’è stato, un intervento divino. Il padre degli dèi, sceso un momento dall’Olimpo, è stato avvistato domenica fra le dune di Zandvoort. Discutibile l’abbigliamento (tunica orange e barba finta, peraltro incollata sopra la barba vera), ma in linea con gli standard locali (vedi alla voce “Gigione il leone arancione”).
La passione di Giove Pluvio per i Grand Prix – stesse iniziali: non può essere un caso – è nota da tempo. Stavolta ha dato fondo agli effetti speciali: l’acquazzone estivo iniziato durante la procedura di partenza, la schiarita successiva che ha asciugato la pista, la trepida attesa dei nuvoloni neri gonfi di pioggia, il mezzo uragano che ha costretto gli organizzatori a esporre la bandiera rossa e gli ultimi giri su pista bagnata, ma praticabile. Capiamoci, nulla di tutto questo ha comunque scalzato Max Verstappen dal primo posto, ma grazie lo stesso dello spettacolo, buon vecchio GP: sapevamo di poter contare sui tuoi fenomenali poteri cosmici.
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