La Formula 1 vola in Messico per la seconda tappa del tour americano. Sopra quota duemila, nell’aria rarefatta che sballa i carichi aerodinamici, abbiamo visto Max Verstappen combattere contro il suo doppio, come nei fumetti di supereroi di una volta. Per distinguere il buono e il cattivo, guardate il cappello. Stiamo forse dando i numeri? Certo. Ecco le pagelle del GP di Città del Messico.
1. Aston Martin
Doppio ritiro per le verdi inglesi nell’ennesimo weekend nerissimo. Stavolta Alonso va addirittura peggio di Stroll: sbatte in qualifica, troncando la prima manche e di fatto eliminando il suo compagno, mentre in gara alza bandiera bianca dopo quarantasette giri. Più in generale, tutto il team dà l’impressione di aspettare la fine del mondiale 2023 come una liberazione. Lo sanno che l’anno prossimo si replica?
2. Esteban Ocon
«Andate a dire a Hülkenberg che sto arrivando», declama spavaldo lo spilungone in team radio. Ed è subito quinta elementare, cortile della scuola, bambino (alto alto e magro magro) che attacca briga con i più piccoli. Con i bambini di quinta elementare ci vuole tanta pazienza, bisogna capire da dove viene tanta aggressività e attaccare le cause, non i sintomi. Chissà se vale anche per i bambinoni di ventisette anni che guidano l’Alpine.
3. Yuki Tsunoda
Tsunoda ci piace perché è cocciuto, ci prova sempre, crea spettacolo dal nulla. Ma “provarci” implica almeno la minima probabilità di riuscirci. Altrimenti è inutile, e anche pericoloso. Una ruotata a Magnussen nelle fasi iniziali, due a Piastri nelle fasi finali, tanta frustrazione, tanti decibel, non altrettanta concentrazione. Stavolta paga solo lui e solo perdendo posizioni in classifica, ma è stato fortunato.
4. Max Verstappen, con il sombrero
Ci eravamo messi alle spalle Austin, Texas, e i cappelli da cowboy erano tornati negli armadi (tranne quello di Arturo Merzario, ma lui può). Da Città del Messico certo non ci aspettavamo sobrietà. Anzi, eravamo pronti a goderci lo spettacolo. Ma poi abbiamo visto emergere qualcosa, pian pianino, dal pavimento dell’area podio. Nell’ordine: sombrero gigante, Red Bull vincente, Max in posa come un supercattivo di 007. E allora, cosa possiamo commentare?
5. Sergio Pérez
La gara di Checo è una tragedia greca condensata in poche centinaia di metri. Una partenza sovrumana, l’ineluttabile minuscola sbavatura che fa crollare tutto, la Red Bull che ascende verso l’Olimpo e la rovinosa caduta, letteralmente, nella polvere. I greci credevano al fato, e mettevano in scena le tragedie per ammonire il pubblico a non sfidarlo. Ma a chi violava questa legge suprema – superiore perfino al volere degli dèi! – riservavano anche tanta ammirazione. Erano eroi. Anche stavolta Sergio la sufficienza se la sogna, ma per una volta il suo fallimento è grandioso e catartico.
6. Charles Leclerc
In montagna, l’aria rarefatta crea effetti imprevedibili. A noi umani manca il fiato, gira la testa, si tappano le orecchie; figurarsi ai motori. Ma sulle leggi della fisica siamo abituati a fare affidamento. E invece la Ferrari di Leclerc, domenica, va molto più forte quando gira con l’alettone rotto. Tutto è possibile, a Città del Messico. Perfino rivedere Charles su un podio. Non succedeva da Spa, quest’estate, quando c’era l’ora legale e faceva un gran caldo. Vabbe’, lasciamo stare.
7. Lando Norris
Come dite voi umani? “Nel bene e nel male”? Malissimo in qualifica (non per colpa sua) e male alla ripartenza dopo la bandiera rossa, bene prima, benissimo dopo. Regala sportellate, sorpassi e sorrisi da orecchio a orecchio. Si complica la vita nella seconda partenza, ma poi, in compenso, si fa spuntare i superpoteri. Bambini, non seguite il suo esempio, ma che spettacolo.
8. Daniel Ricciardo
Il sabato, il tasso del miele va all’attacco e porta a casa una grandiosa seconda fila. La domenica, il tasso del miele si barrica in difesa e porta a casa un incoraggiante settimo posto. Che le ultime disavventure lo abbiano rigenerato? Ci dispiace per il metodo, e chissà se siamo pronti a rivederlo sul podio, ma Ricciardo mustelide scatenato è una visione che temevamo di aver perso anni fa, e il mondo ne ha ancora bisogno.
9. Lewis Hamilton
Come si misura la ferocia agonistica del 44? Forse con il distacco che infligge a Russell, stessa macchina, 13 anni e 7 titoli mondiali di meno, al traguardo 28 secondi dopo di lui. O con i dieci secondi che appioppa a Leclerc, nei trentun giri fra il sorpasso e il traguardo. Oppure confrontando la velocità di punta della sua Mercedes e quella della Ferrari: 350,7 a 345,1 con l’assetto da qualifica di sabato. Più di cinque chilometri e mezzo l’ora, su un rettilineo infinito. A favore della Rossa.
10. Max Verstappen, con il casco
Cinquantunesima vittoria in carriera: come Alain Prost, che però ha vinto il suo ultimo GP (Giappone 1993) a trentotto anni. Certo, all’epoca le stagioni erano più brevi, le macchine meno affidabili e la concorrenza più agguerrita. È un’altra Formula 1. Ma il libro dei primati è lo stesso, e da domenica ce n’è un altro che porta il suo nome. Un altro ancora è stato ritoccato: nemmeno lui era mai riuscito a vincere sedici GP in una sola stagione.
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